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Indagini invasive
Le tecniche di indagine analitiche e diagnostiche applicabili alle opere d’arte vengono di solito distinte in due grandi classi:
– invasive, che richiedono il prelievo di un campione, cioè l’asportazione di quantità minime di materia dell’opera, da sottoporre ai vari esami (cromatografia, colorazione istochimica, etc.);
– non invasive, che, come la radiografia ai raggi X o la riflettografia infrarossa, possono essere eseguite direttamente sull’opera interagendo con le superfici attraverso varie forme di energia.
I metodi invasivi sono a loro volta distinti in distruttivi ( i primi e per lungo tempo gli unici ad essere utilizzati), che comportano la modifica o la distruzione del campione esaminato e non distruttivi che, come la spettrofotometria di riflettanza o la fluorescenza a raggi X, permettono lo studio della natura e della struttura del campione senza che questo venga modificato o alterato.
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Prelievo di un campione
Quando alla soluzione di uno specifico problema che deve essere investigato si pone la possibilità di scelta fra le varie tecniche di indagine, la tendenza attuale è quella di dare quanto più possibile spazio alle tecniche non invasive. E’ doveroso, però, sottolineare che fra le tecniche che richiedono il prelievo vengono utilizzate soltanto quelle che necessitano di campioni piccolissimi. Il campionamento, cioè la scelta delle aree più significative e rappresentative, viene predisposto in modo da limitarsi ai prelievi veramente indispensabili e alle zone meno importanti in relazione al contenuto espressivo dell’opera. Inoltre i prelievi verranno effettuati, preferibilmente sui margini di lacune già esistenti, da persone esperte e con tecniche e strumenti scelti caso per caso: bisturi, siringhe, nastri adesivi, carotatrici, pennelli,etc.
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Microanalisi di tipo istochimico
La necessit? di ricorrere ad esami di tipo invasivo ? legata alla soluzione di specifici problemi analitici (ad esempio per l‘identificazione di materiali organici e inorganici, di origine naturale o artificiale) e ad una serie di limitazioni legate ai metodi non invasivi (alcune imposte dai materiali stessi come nel caso della fluorescenza a raggi X che si attiva soltanto su prodotti inorganici).
La distruzione o modifica del campione si rende necessaria ad esempio con la cromatografia che permette di separare e dosare i componenti di un miscuglio o con le microanalisi che prevedono l’identificazione dei materiali attraverso l’osservazione al microscopio di formazioni di cristalli o di colorazioni caratteristiche a seguito di reazioni chimiche indotte.
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Cross-section
La possibilità di conservare il campione intatto (esami invasivi non distruttivi) rende possibile un continuo aggiornamento in funzione dello sviluppo delle tecniche di analisi. La manipolazione del campione prevede a questo fine il suo inglobamento in resina poliestere e, nel caso dell’applicazione allo studio delle strutture pittoriche dei dipinti, un taglio perpendicolare alla superficie per permetterne lo studio in sezione (sezione stratigrafica). Ciò permette di ottenere numerosi dati analitici sulla composizione di ogni singolo strato, sulla loro successione, su ogni alterazione o modifica ad essi intercorsa, contribuendo all’elaborazione di metodi capaci di arrestare eventuali processi di degrado, all’individuazione di aggiunte o rifacimenti, nonché a chiarire alcuni aspetti dei materiali costitutivi rendendo notevoli contributi in campo storiografico attribuzionistico.
Manfredi Faldi
Estratto da: Artis (Art and Restoration Techniques Interactive Studio), Direzione scientifica: Manfredi Faldi, Claudio Paolini. Cd Rom realizzato da un gruppo di istituti di restauro europei, con il determinante contributo della Commissione Europea nell’ambito del programma d’azione INFO2000.
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