Falso, copia, imitazione, contraffazione e manomissione

Han van Meegeren, uno dei più abili falsari d’arte del XX secolo, presso il suo studio (1945)
Falso, copia, imitazione, contraffazione e manomissione
Intenzionalità e inganno
Riferito alla produzione artistica il falso è comunemente inteso quale oggetto realizzato con la precisa intenzione di ingannare circa l’autore e l’epoca della sua esecuzione; solitamente tale intendimento è confermato dal collocamento dell’opera sul mercato.
Per poter definire un’opera d’arte come falsa occorre, anche sotto il profilo giuridico, l’evidenza del dolo; ma proprio sotto questo aspetto risulta evidente la difficoltà della dichiarazione di falsità, d’altronde “il falso non è falso finché non viene riconosciuto come tale non potendosi considerare infatti la falsità come proprietà inerente al soggetto”[1]; Brandi sostiene infatti che “la falsità, può solo basarsi sul giudizio. La difficoltà della definizione va fatta risalire alla complessa problematica inerente al fenomeno che presenta rapporti con gli altri della copia, della replica, dell’imitazione, la cui differenziazione non sta in una diversità specifica dei modi di produzione, ma in una diversa intenzionalità”.
Da ciò possiamo trarre la formulazione giuridica del concetto di falso giacche, come è universalmente noto, il falso artistico rientra nell’ordine dei reati nella misura in cui inganna la buona fede dell’acquirente, lede i diritti dell’autore e del suo pubblico, assume, insomma, come prodotto mercificato, una realtà abusiva e caratteri che non gli competono.
La falsificazione come fatto culturale
La falsificazione artistica non si identifica semplicemente con la frode commerciale, in realtà essa è, prima di tutto, un fatto culturale in quanto nasce sempre da un preciso contesto culturale ed è prodotta per soddisfare esigenze che sono in primo luogo di cultura.
Come nota Carlo Ludovico Ragghianti[2] le attività falsarie sono più complesse di quel che di solito si pensa, riscontrandosi in alcuni casi “la presenza di processi che si protendono verso forme intellettuali superiori come la comprensione formale, l’interpretazione, la critica stessa”. Non si può, evidentemente, falsificare Donatello senza conoscerlo, e dato che conoscerlo vuol dire leggerlo, interpretarlo, secondo l’angolazione critica che varia nel tempo col variare dei condizionamenti storici e culturali, ecco che un falso Donatello sarà anche, di necessità, una interpretazione critica dello scultore toscano, un eloquente documento di cultura. E sarà da chiedersi ancora perché il falsario in quell’occasione ha cercato di imitare proprio lo stile di Donatello e non, poniamo, quello di Jacopo Della Quercia o di Lorenzo Bernini.

Busto del Savonarola, falsificazione nello stile del Quattrocento fiorentino, una specie di sublimazione romantica del profeta con lo sguardo rivolto al cielo
Domanda legittima perché il falso, alla stregua di qualsiasi altro manufatto umano, è condizionato dalla legge economica della domanda, presuppone sempre il pubblico a cui è destinato, i suoi gusti, le sue preferenze, il grado medio di maturità critica e di inclinazione culturale dei probabili acquirenti.
Sotto questo aspetto il falso assume un valore che può definirsi “storico-critico”, individuando in esso il modo con il quale, in momenti diversi, ci si accosta alla lettura e all’interpretazione di altre epoche.
Manifestazioni intermedie e forme ibride
Proprio in tale disposizione può ritrovarsi la possibilità di riconoscere la reale natura del falso: secondo Otto Kurz[3] i falsi “sono una specie di abbreviatura che traduce l’opera d’arte in un linguaggio attuale”. Alla complessità del fenomeno sono collegate quelle che Frank Arnau[4] definisce “manifestazioni intermedie”, “forme ibride”, la varia è mal definibile categoria delle imitazioni, originali parziali, originali costruiti su altri originali; Arnau si chiede “dove finisce il lavoro del copista e dove comincia quello del falsario” a tale proposito è interessante la seguente osservazione di Otto Kurz: da un punto di vista morale e legale le falsificazioni formano una categoria a parte, ma per il resto hanno molto in comune con le riproduzioni e con le copie, in quanto si avvicinano agli originali, senza mai arrivare ad essi”.
Infatti per quanto possa essere diverso lo scopo di chi esegue una copia per documentazione e chi le segue per contrabbandarla come originale, in entrambi i casi l’esecutore non riuscirà mai a sganciarsi dai condizionamenti culturali del tempo in cui vive. ”Ogni tempo ha occhi diversi. Donatello nel 1930 a fare diverso da come appariva nel 1870. “L’elemento imitabile appare diverso a ogni generazione” così Friedlànder, nel suo celebre saggio[5], c’entra il problema. Il copiatore e il falsificatore vorranno allora conservare nella loro riproduzione quel tipico aspetto particolarmente pregiato, e inevitabilmente trascureranno il resto; da questo discende che anche le copie hanno una data e rivelano di appartenere ad un periodo storico.
Pertanto la copia, l’imitazione e la falsificazione rispecchiano l’aspetto culturale del momento in cui si eseguirono, godono di una storicità che si potrebbe dire duplice, per il fatto di essere stati compiuti in un determinato tempo e per il fatto di portare in sé, inavvertitamente, la testimonianza delle predilezioni, del gusto della moda di quel tempo. Sostiene Brandi, la storia della falsificazione di opere d’arte rientra nella storia della critica d’arte, in quanto il falso potrà rispecchiare il particolare modo di “leggere” un’opera d’arte e di desumere lo stile che fu proprio di un dato periodo storico.
In conclusione la storia della falsificazione dovrà tenere conto ugualmente delle copie e delle imitazioni non solo per la sostanziale identità dei procedimenti impiegati, ma anche per la difficoltà di provare il dolo (essenziale per il giudizio del falso) e per l’impossibilità di escludere (anche nei periodi più remoti della civiltà) una intenzionale produzione di falsi.
Contraffazione e imitazione
Utili e per alcuni aspetti determinanti contributi ad una più esatta valutazione del falso possono venire da una indagine storica che tenga conto del suo costituirsi come di alcuni fatti nel suo svolgimento.
A conferma di alcune precedenti considerazioni, va rilevato come la falsificazione, e quindi una sua possibile storia, sia successiva al “formarsi del giudizio critico e di valore… quasi come un suo corollario negativo”.[6] E ciò in quanto in esso, al di là di ogni motivazione, è sempre individuabile un’operazione “critica” più o meno cosciente nei riguardi degli originali che si intendono riprodurre. Sotto questo aspetto di particolare interesse ed esemplari sono alcuni episodi: quello di Michelangelo che eseguì un Cupido marmoreo e dopo averlo sotterrato “ l’acconciò in maniera che pareva antico”;[7] ma significativo è che lo stesso Vasari giudichi inopportuno il biasimo del Cardinale San Giorgio, “il quale non conoscendo la virtù dell’opera, che consiste nella perfezione, che tanto son buone quanto le antiche purché siano eccellenti, essendo più vanità quella di coloro che van dietro più al nome che a’ fatti”. Da dove si ricava il riconoscimento di un valore intrinseco proprio dell’opera, valore che è individuabile ovviamente in diversa misura in ogni falso e che costituisce altro e non trascurabile elemento cui occorre fare riferimento. Si ricorderà ancora Lorenzo Ghiberti che contraffaceva medaglie greche e romane e altri artisti che firmavano gemme intagliate con nome di Philaretes, Pyrgoteles, Leukos in lettere greche[8]. Naturalmente loro scopo, non fu quello di mistificare l’antico (se non per gioco o per ambizione), ma quello di avvicinarsi ad esso, immedesimandosi nelle sue manifestazioni artistiche e ricreandone lo stile; non si può pertanto parlare di falsificazione poiché mancava l’intenzione dolosa, ma semmai di contraffazione.[9]
Più tardi, fra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, quando la storiografia artistica ha ormai solitamente istituzionalizzato la fama divina di certi artisti e l’età rinascimentale comincia ad essere rivista in termini di retorica celebrativa, saranno soprattutto i grandi maestri del Cinquecento ad essere falsificati.
Prime autenticazioni
Nel corso del XVII secolo, parallelamente al consolidarsi del concetto di proprietà artistica, nonché del collezionismo e del mercato d’arte, si assiste alla diffusione del fenomeno. La produzione di falsi assume caratteristiche moderne nel senso che si adegua alle richieste del collezionismo, rispetta scrupolosamente le preferenze dei ceti intellettuali a cui è destinata, diventa la riprova immediata di ogni importante successo di critica e di mercato.

Nel suo Liber Veritatis, nell’immagine una delle pagine dell’indice, Lorain tracciava, con un succinto disegno, la memoria dei suoi dipinti, allo scopo di garantirsi e di garantire i committenti da falsificazioni.
Per ovviare alla illecita riproduzione delle proprie opere (protette legalmente con leggi sul diritto d’autore per la prima volta in Inghilterra nel 1735) gli artisti del seicento più danneggiati dagli imitatori compilare liste dettagliate, sovente corredate di disegni, dei loro dipinti. Claude Lorrain per salvaguardare il buon nome e i diritti del suo pubblico compila quel “Liber veritatis” che è una documentazione metodica e scrupolosa di tutta la sua opera. Il primo esempio nella storia dell’arte di autenticazione della propria opera compiuta da un maestro vivente.
Da Allora per la prima volta, la definizione di “falsificatore“ sostituì quella di “imitatore“ Questo tipo di falso testimonia delle misere condizioni di vita degli apprendisti e dei pittori di scarso successo che smerciavano avviene presso i loro prodotti.
Il falso nel settecento
A partire dal Settecento la produzione di falsi rispetta così da vicino alle caratteristiche della nuova estetica e i gusti di un pubblico sempre più specializzato, che potremmo idealmente ricostruire i progressi, gli entusiasmi, i miti degli ultimi duecento anni delle contraffazioni artistiche più significative. Il falsario che nel 500 e 600 lavorava ancora con relativa libertà e approssimazione è ora costretto a fare i conti con una critica sempre più rigorosa e deve registrare puntualmente nella sua opera il mutevole evolversi del gusto. Se da un lato il falso diventa più scaltrito e dal punto di vista tecnico più convincente, dall’altro però denuncia, con precisione sempre maggiore, le implicazioni storiche e culturali che l’hanno prodotto.

Anton Raphael Mengs, Giove che bacia Ganimende, falso affresco pompeiano creato per ingannare l’archeologo e storico dell’arte Johann Joachim Winckelmann, che lo considerò un originale. Nel 1779, sul letto di morte, lo stesso Mengs confessa che il famoso Ganimede è opera sua
Nella seconda metà del XVIII secolo, in clima di fervore archeologico sollecitato dagli scavi pompeiani e dalle teorie estetiche di Winckelmann, alcune botteghe quali quella di Giuseppe Guerra si specializzarono in falsificazione di pittura classica. In quegli anni lo stesso Winckelmann rimase ingannato dal “Giove che bacia Ganimede“
dipinto ad encausto da Raphael Mengs tanto che lo fece incidere per la sua “Storia delle Arti del disegno presso gli antichi“. Nel 1786 quando la notizia dell’origine del dipinto era trapelata, Goethe, ammirato e incredulo, si chiedeva nel suo “Italialienische Reise“ come poteva essere opera di un moderno un dipinto “che è quasi troppo bello persino per Raffaello“. Il commento di Goethe è estremamente significativo, infatti la pittura di Mengs è assai più vicina hai modi di Raffaello di quanto non lo sia a quelli degli affreschi pompeiani, né poteva essere diversamente in un’epoca in cui il concetto di “classicità“ si identificava con quello di “bellezza ideale“ e riconosceva nell’arte di Raffaello il vertice ineguagliato di perfezione formale. D’altra parte l’errore del of Winckelmann e l’entusiasmo di Goethe si spiegano col fatto che entrambi in quegli anni vedevano l’antichità classica con gli stessi occhi di Raphael Mengs e la sua falsificazione non fu dunque altro, a ben guardare, che una interpretazione dell’antico perfettamente adeguata alle idee dell’ambiente intellettuale per cui fu compiuta.
Un falso Memling è il primo Memling piacevole
La caratteristica essenziale ogni di falsificazione veramente riuscita è infatti quella di aderire così intimamente ai giudizi o pregiudizi del pubblico a cui è destinata, da piacere, talora molto più di quanto non possa piacere a prima vista un opera autentica.
Va da sé, naturalmente, che si tratta di un emozione immediata, di una simpatia tutta di superficie che un’analisi fredda e distaccata potrà in seguito rettificare; è anche vero però, come osserva con ironia Friedlànder, che “per molti amatori, un falso Memling è il primo Memling piacevole“. Così si spiega come illustri conoscitori Se si hanno ingannati di fronte a falsificazione che a noi oggi fanno sorridere che falsi clamorosi siano entrati con tutti gli onori nelle collezioni d’arte e nelle pagine di riviste specializzate.
L’ottocento – Bastianini e Dossena

Giovanni Bastianini (1830-1868) La Danza. Una versione in gesso di questo gruppo è nella Galleria d’Arte Moderna, a Palazzo Pitti, Firenze
Nell’ottocento e nel novecento (in cui il problema diventa patologico) nasce la mitica personalità del falsario: Giovanni Bastianini a metà Ottocento rifà il rinascimento, Alceo Dossena ai primi del secolo si misura con l’arte di ogni tempo, Hans Van Meegeren provoca il famoso scandalo di Vermeer. Nessuno quanto loro riuscita a guardare il mondo dell’arte con gli stessi occhi del pubblico colto a cui erano destinate le loro opere; offrendo ai critici e ai collezionisti i Pisano, i Donatello e i Vermeer che di volta in volta avrebbero desiderato incontrare.
È curioso che gli studiosi, facilmente ingannati dai falsi antichi, rifiutavano a volte per contro nuove scoperte che non entravano in quella codificata immagine dell’arte antica che si erano andati configurando.
Il Bastianini ci offre nelle sue celebri imitazioni in terracotta un’interpretazione fra romantica e verista del Rinascimento toscano che, se ha ben pochi punti di contatto con i modelli che tenta di contraffare, rientra tuttavia perfettamente nelle idea piuttosto oleografica che certa letteratura ottocentesca amava farsi della rinascenza italiana.

Alceo Dossena (1878-1937), Madonna col bambino,1930.
Le sue opere erano realizzate nello stile e con la tecnica dei grandi maestri del passato.
Singolare fu nella storia della falsificazione la personalità di Alceo Dossena. Nato a Cremona nel 1878, Dossena fu uno scultore che si impratichisce nelle varie tecniche antiche, non imitando ma ispirandosi, nelle sue creazioni, ad opere greche, etrusche, romane e rinascimentali. Per la qualità dello stile e la natura stessa della patatina che la ricopriva, le opere di Dossena lasciano perplesso più di un archeologo e accesero polemiche, alcune non ancora sopite.
Il novecento – Hans Van Meegeren
Nel novecento l’opera d’arte diventa oltre che elemento di prestigio sociale, un redditizio investimento. L’aumento vertiginoso della domanda di quadri e altri oggetti di antiquariato incrementa a sua volta il mercato dei falsari d’arte, che raffinano sempre più le loro opere e, grazie anche alla moderna tecnologia, possono imitare quasi alla perfezione tecniche, materiali e colori delle varie epoche nonché esibire certificati “autenticità altrettanto impeccabili.
Un discorso a sé merita il caso di Hans Van Meegeren, che immediatamente prima della seconda guerra mondiale dipinse nello stile di Vermeer quei Discepoli di Emmaus che i più autorevoli critici d’arte accolsero come uno stupendo capolavoro del maestro di Delft. Scoperta solo a seguito della dichiarazione dello stesso. Van Meegeren.
Il successo strepitoso dei Vermeer di Van Meegeren si spiega da un lato per la preparazione culturale di tipo turistico e misticheggiante del falsario che, opportunamente rettificata sull’analisi meticolosa delle vere opere di

Han van Meegeren (1889–1947), Cena in Emmaus, 1937. ispirato ad un dipinto di Caravaggio e acquistato nel 1937 dal Museo Boymans di Rotterdam per una cifra astronomica
Vermeer, finì con l’identificarsi col modo di leggere il maestro di Delft di certa critica vermeeriana in auge in quegli anni. E poi per la sottile intelligenza del falsario che, dovendo rifare Vermeer e Vermeer giovane per giunta, puntò direttamente sull’Italia e su Caravaggio ( i discepoli di Emmaus ricordano da vicino il dipinto di analogo soggetto del Caravaggio) offrendo alla critica la prova lampante a lungo cercata dell’educazione italiana del maestro di Delft.
Che meraviglioso chiaroscuro!
Chiunque non sia esperto, ma nemmeno troppo digiuno può provare l’effetto ti richiamo più immediato che suscita una falsificazione azzeccata rispetto ad un originale, questo perché il falso, come si è detto, si mostra più puntuale del quadro vero nell’esibire tutte le caratteristiche di soggetto e di stile prescritte per quel dato tipo di originale. Talvolta il falsario esagera: Otto Kurz descrive alcuni di questi casi come il gruppo di falsi Van Gogh apparsi sul mercato degli anni trenta: tra di essi c’erano ben quattro autoritratti e altrettanti gruppi di alti cipressi fiammeggianti.
Anche la falsificazione pertanto soggiace alle leggi della verosimiglianza già enunciati da Aristotele: la finzione architettata dall’uomo deve essere verosimile per essere credibile, mentre nella realtà possono accadere anche cose inverosimili. Questo ci ricorda inoltre un aspetto molto significativo del nostro modo di fruire i dipinti: con una compiacenza smaccata che porta a voler ritrovare nel dipinto ciò che ci si è abituati a pensare che esso debba essere.
Nell’introduzione alla sua Storia dell’Arte E.H. Gombrich descrive questo spettatore che “ vedendo un’opera d’arte non si abbandona ad essa ma preferisce cercare nella mente l’etichetta appropriata. Forse ha sentito dire che il Rembrandt è famoso per il suo chiaroscuro, e allora vedendo il Rembrandt, fa un cenno saputo e mormorando: “Che meraviglioso chiaroscuro passa al quadro successivo”.[10]
Manomissioni

Lorenzo di Credi e Leonardo?, Vergine adorante e Angeli

Dopo la distruzione di parte della superficie pittorica e l’inserzione di un falso disegno preparatorio nello stile di Leonardo
Esiste un tipo di contraffazione artistica però, la più subdola e la più pericolosa di tutte, anche se al rigore non rientra nell’ordine dei falsi tipici, che distrugge o degrada o altera l’originale, arrecando un danno spesso non riparabile al patrimonio artistico. Si tratta delle manomissioni fatte a scopo di lucro su opere d’arte antiche che vengono modificate perché l’argomento è ritenuto poco gradevole o scarsamente ambientabile.
Grandi tele barocche vengono tagliuzzate e scomposte per essere vendute a frammenti; su dipinti firmati da maestri minori, la cui importanza per lo storico dell’arte può però essere a volte decisiva, la firma viene accuratamente abrasa, questo perché una expertise disinvolta o la presenza di complessi dati di stile possa consentire una attribuzione più importante e quindi una quotazione commerciale più alta.
Il falso perfetto
Per quanto riguarda un falso eseguito ai nostri giorni, dobbiamo ammettere la possibilità, sia pure teorica, del falso “perfetto”, ovvero perfettamente adeguato al grado attuale di conoscenza e di comprensione dei valori dell’originale. L’operazione del falsario non arriva mai a tanto, ma l’ipotesi del “falso perfetto” vale a rendersi conto se esistono strumenti, ideologici o tecnici, che possano sicuramente rilevarlo per tale. Dal punto di vista tecnico è evidente che le difficoltà del falsario diminuiscono o si accrescono proporzionalmente all’antichità del pezzo che si vuole imitare; nel senso che nessuna, o quasi, difficoltà tecnica si frappone a chi falsifica l’arte del proprio tempo, mentre molte e sempre più gravi se ne presentano a mano a mano che si retrocede nel passato. Ciò nonostante, il falso di un’opera contemporanea si rivela sempre, in ogni tempo, come il meno perfetto, in ragione del fatto che è la reale comprensione della qualità artistica di ciò che si vuole falsificare richiede una adeguata “distanza” storica. Mancando questa, l’attenzione del falsario sarà naturalmente portata a caratteri più esterni e più facilmente riconoscibile dell’originale e quindi la sua opera tradirà la superficialità e l’approssimazione del suo approccio estetico.
È anche vero che altrettanto limitata sarà la conoscenza del “consumatore” tratto in inganno, ma a questi potrà soccorrere il giudizio dello stesso artista “supposto” di aver creato la opera. Questo tipo di falso, comunque, riscontrerà credito non troppo a lungo dato che, come si è detto, il giudizio sui valori dell’originale si chiarisce e si circostanzia col passare del tempo[11].

Adorazione dei Magi, falsificazione moderna nello stile del primo Quattrocento fiorentino. Collage di motivi presi a prestito dal celebre polittico di Gentile da Fabriano agli Uffizi
Tra il lavoro del falsario e quello del conoscitore c’è uno stretto rapporto: le due categorie devono lavorare giocando a superarsi, su una conoscenza articolata, analitica, del “pacco” di requisiti che un determinato tipo di originale deve possedere.
Le frodi
Esistono falsi buoni e falsi rozzi, ma anche quando è rozzo, il falso dice sempre qualcosa, sia pure in negativo, circa la competenza del pubblico che riesce ad ingannare: come ad esempio “De Chirico” venduto per tale, grazie all’autentica posta sul retro dell’opera (imitata alla perfezione con la tecnica della diapositiva proiettata sulla tela); oppure grazie alla sua descrizione in pagine fuori testo inserite in pubblicazione qualificate; o ancora pezzi archeologici che vengono sotterrati in zone di scavo e poi “portate alla luce” di notte sotto gli occhi di incauti compratori. In quest’ultimo caso l’inganno si incentra più sulle circostanze del ritrovamento che sulla qualità degli oggetti e, nel caso di quadri con autentica falsa, magari accompagnati da una perizia, è spesso sulla presenza di quest’ultima che l’inganno fa leva. Queste falsificazioni dicono qualcosa sui modi di ingannare del mercato dell’arte; Ma il tipo di falso che può insegnare al conoscitore d’arte non è evidentemente questo, bensì quello nel quale l’inganno si incentra sulle qualità del manufatto stesso e non su circostanze accessorie.
Analisi chimica
La prevenzione contro le frodi stimola all’analisi degli originali attraverso sempre nuove tecniche: ma le falsificazioni si tengono al passo con le scoperte, e “l’abilità con cui è eseguito il falso diviene per naturale legge di difesa dell’autore di esso, proporzionale alle conoscenze tecniche ed archeologiche del pubblico cui è destinato”[12]. Nascono così falsi sempre più resistenti che tengono conto delle nuove acquisizioni.

Periodo di utilizzazione dei pigmenti azzurri
Prendiamo ad esempio l’analisi chimica: la sua utilità si basa, tra l’altro, sul fatto che essa può rivelare la presenza di colori di invenzione moderna in un’opera che si pretendeva antica.
La sua introduzione ha causato pertanto la decadenza, attuale o potenziale, di tutti i falsi realizzati con colori di produzione moderna. Un falso del pittore olandese Frans Hals (1580 ca.- 1666) che diede luogo all’inizio del secolo ad una disputa finita in sede legale, fu smascherato appunto dall’analisi chimica: questa rilevò la presenza di ben tre pigmenti che non esistevano all’epoca di Frans Hals, e cioè il blu oltremare sintetico (prodotto per la prima volta nel 1826), l’azzurro Thenard (ossido di cobalto e allumina, inventato da Thenard nel 1820), e il bianco di zinco, che non esisteva prima del 1781[13]. Ovviamente, un falsario di oggi sta bene attento a non impiegare i pigmenti che possono tradirlo in sede in analisi chimica.
La lotta alle falsificazioni porta alla scoperta di sempre nuove caratteristiche proprie degli originali.
I requisiti di un dipinto antico che il falsario deve cercare di procurare alla propria opera sono divenuti così numerosissimi.
Supporto e preparazione
Anche solo il supporto di un dipinto antico è stato fatto ormai oggetto di un osservazione sistematica che ne ha registrato e reso significative le più minuti e caratteristiche.
Ecco alcune osservazioni di Friedlànder sui supporti dei dipinti. “Di solito lo spessore del legno, specialmente nel Seicento olandese, era leggermente smussato ai quattro angoli sul verso con un taglio uniformemente prismatico. I pittori del quattrocento stendevano la preparazione sulla tavola già incorniciata: quindi la massa pastosa formava una crosta all’orlo della cornice: se questa crosta è visibile ai quattro lati, possiamo essere certi di possedere il quadro nelle sue dimensioni originarie.
Noi studiamo il materiale come naturalisti: la specie del legno, la tessitura della tela e i pigmenti. Con ciò acquistiamo punti di riferimento per localizzare il quadro nello spazio e nel tempo. Nei paesi bassi e nella Germania settentrionale si usava esclusivamente rovere, perlopiù di scarso spessore, nella Germania meridionale abitualmente tiglio o, specie nella zona alpina, il legno striato delle aghifoglie; in Italia, il pioppo in tavole piuttosto spesse”.

Gallerie di tarlo in superficie
Un falsario che volesse realizzare un dipinto capace di ingannare un vero conoscitore dovrebbe tenere conto di questi e ancora altri requisiti solo per realizzare il supporto. Si capisce come riprodurre tutto l’assieme dei requisiti che attualmente si riconoscono ad un originale (ormai minutamente analizzato dal lavoro di generazioni di ricercatori) sia un compito molto gravoso e costituisca perciò una difesa naturale contro le falsificazioni.
Una delle conseguenze è che il falso integralmente nuovo occupa oggi, nell’industria della falsificazione, una parte più modesta che mai; assai più importanti sono invece i materiali manipolati truccati, composti di parti antiche modificate lavorate opportunamente in modo da acquistare maggiore valore.
Comune nelle falsificazione di dipinti è l’uso di un supporto antico che convoglia automaticamente nel falso ultimato tutto un insieme solidale di caratteristiche proprie agli esemplari autentici, senza peraltro che il falsario debba impegnarsi a procurarle una per una al supporto.
Otto Kurz pubblica utili osservazioni su un trittico falso eseguito su un supporto di fabbricazione moderna. “I bordi del trittico… sono aspri e ineguali, e certamente dei pezzi di legno così fallosi non sarebbero mai stati usati da un maestro antico. La scabrosità del pannello centrale è causa di un taglio assai visibile attraverso una delle figure. Ma l’irregolarità è facilmente scambiata per antichità e, comunque, il falsario era soprattutto ansioso di adoperare del legno vecchio. Eppure è proprio il legno a tradirlo. La radiografia rivela che i fori dei tarli sono stati riempiti e poi ricoperti dalle imprimitura. Naturalmente i pittori del XV secolo non avevano nessuna necessità di dipingere sul legno tarlato. Altre evidenza sono chiodi, lunghi e fatti a macchina, che sono nascosti alla vista, Ma che raggi-x rivelano chiaramente”.
È evidente che l’uso di un supporto antico già pronto avrebbe eliminato sul nascere il problema di conferire artificialmente a questa porzione del falso le caratteristiche proprie dell’originale antico in fatto di chiodi, scelta di trattamento del legno, invecchiamento ecc.
Firme false

Firma aggiunta posteriormente al formarsi della craquelure
Per questo motivo una tecnica di falsificazione molto usata in passato, anche se attualmente caduta in discredito, appunto perché troppo sfruttata, è stata quella di nobilitare quadri genuini con firme false di artisti illustri. Tutt’ora in uso, come si è detto, è invece la pratica di sopprimere la firma di artisti secondari aprendo la via ad un’attribuzione più ambiziosa.
In questo modo le parti genuine dell’opera condividono con gli oggetti integralmente originali la capacità di resistere non sono alle analisi previste dal falsario, ma anche ad altre possibili verifiche future, di cui è impossibile prevenire i risultati quando si falsifica ex novo, producendo pezzi integralmente moderni.
Fino a che punto autentico?
Althofer[14] scrive che comunemente sul mercato appaiono non falsi puri ma oggetti misti che inducono a chiedersi non “autentico o falso?” ma piuttosto “fino a che punto autentico, fino a che punto falso? Falsi puri, ai quali questo concetto sia applicabile senza restrizioni, sia dal punto di vista dell’indagine tecnica che sotto il profilo giuridico, sono relativamente rari”.
Da queste e dalle precedenti considerazioni si può dedurre che non possono esistere dei metodi per l’investigazione e la rivelazione del falso bensì solo criteri empirici anche se tratti dal sussidio di alcune scienze tecniche.
Primo fra tutti però, poiché il falsario imita opere d’arte, sarà il criterio estetico: la frode porta il falsario a creare la sua opera ispirandosi a vari archetipi ed è raro che non ne risulti una confusione di stili, una disarmonia e dei celati segni dello stile dell’epoca che tradiscono facilmente d’artificio.
L’indagine scientifica
Accanto all’indagine estetica e critica vanno annoverati un gruppo di esperimenti chimici e fisici atti a determinare le proprietà della materia (la sua struttura, la sua età) nell’oggetto di cui si pone in dubbio l’autenticità.
Importantissimi i micrometodi, cioè lo studio al microscopio di piccoli campioni prelevati dall’opera che, rilevando chimicamente ed otticamente la composizione della materia, permettono l’identificazione del legante, del pigmento, delle vernici presenti nel dipinto. La sezione del frammento rivela le stratificazioni successive della materia dalle vernici al supporto. La forma e le dimensioni del pigmento permettono di distinguere una macinazione manuale del colore da una macinazione industriale.
Spesso una semplice lente di ingrandimento è sufficiente per rivelare una ingannevole craquelure, raggiunta scaldando fortemente la superficie e temprandola successivamente con acqua fredda oppure attraverso l’aggiunta di sostanze chimiche che ne accelerino l’essiccazione: accorgimenti usati per accelerare, nella materia, quella stagionatura e quella consunzione che solo la naturale vicenda del tempo può fornirle.
L’esame in luce radente, o luce tangenziale, evidenziando i rilievi del colore e le pennellate, agevola la lettura critica del dipinto.
Le radiazioni infrarosse e ultraviolette permettono di valutare l’estensione delle ridipinture anche se abilmente mascherate; mentre con l’impiego dei raggi-x sarà possibile prendere atto della reale entità delle lacune, della consunzione dello strato pittorico, nonché della progressione delle pennellate che, dalla profondità della imprimitura, compongono il quadro fino alla superficie.
Tecniche di datazione
Esistono inoltre tecniche estremamente complesse e sofisticate che consentono di stabilire l’età dei materiali impiegati come il potassio-40, l’uranio-238, rubidio-87.
In particolare per la determinazione dell’età dei dipinti ad olio si sfruttano le caratteristiche del piombo metallico. La radioattività di questo elemento, infatti, è tanto più elevata quanto più è vecchio: basta quindi misurare l’attività dei colori al piombo, in particolare della biacca, per stabilire, per esempio, se un dipinto è stato eseguito in questo secolo o in quello scorso
Per i materiali organici di cui si possa disporre insufficienti quantità ci si avvarrà della ricerca del C14, cioè della radioattività residua del carbonio di origine organica contenuto in queste sostanze. Poiché, col tempo, l’area di attività si affievolisce, la misurazione della sua intensità condurrà ad una determinazione cronologica sufficientemente approssimata. Le attività industriali, gli esperimenti nucleari e, in generale, l’inquinamento atmosferico hanno fatto aumentare il tenore di C14 nelle sostanze organiche al punto che è possibile determinare con precisione i quadri dipinti dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Attualmente si utilizzano strumenti in grado di analizzare piccolissime quantità di reperto,dell’ordine di milligrammi) grazie alla tecnica di spettrometria di massa con acceleratore (AMS).
A tutti questi strumenti di indagine i falsari opporranno una tecnica sempre più astuta, impiegando materiali antichi, servendosi di trucchi sempre meno evidenti all’occhio fisico e a quello chimico, onde la storia della falsificazione e della scoperta dei falsi si può dire accompagni quella delle scoperte di nuovo i mezzi di indagine fisica e chimica.
Note
[1] Cesare Brandi, Il concetto di falsificazione, contributo alla voce falsificazione in Enciclopedia Universale dell’Arte, Venezia, Roma 1961, vol. V coll. 312-315
[2] Carlo Ludovico Ragghianti ,Coscienza e conoscenza dell’individualità, Pisa 1961
[3] Otto Kurz, Falsi e falsari, neri Pozza 1961
[4] Frank Arnau, Arte della falsificazione, falsificazione dell’arte, Feltrinelli 1960
[5] Max J. Friedlander, Il conoscitore d’arte, Einaudi 1955
[6] L. Vlad Borrelli, Storia ed aspetti della falsificazione, contributo alla voce Falsificazione in Enciclopedia Universale dell’Arte, Venezia, Roma 1961 , vol. V coll. 315-319
[7] Vasari, Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori Italiani, Da Cimabue insino a’tempi nostri: descritte in lingua Toscana, da Giorgio Vasari Pittore Aretino. Con una sua utile e necessaria introduzione a le arti loro, Firenze, Lorenzo Torrentino 1568; ed. cons. a cura di G. Milanesi, Le opere di Giorgio Vasari , Firenze, Sansoni 1981 vol.VII pag 117
[8] Vasari, V, pag 369
[9] Vlad Borrelli, cit.
[10] E. H. Gombrich, La storia dell’arte raccontata da E. H. Gombrich, Einaudi 1966 pagina 22.
[11] Giovanni Urbani, Falsi di arte medievale e moderna, contributo alla voce Falsificazione in Enciclopedia Universale dell’Arte, Venezia, Roma 1961 , vol. V coll. 319-321
[12] Vlad Borrelli, cit.
[13] Kurtz 1948
[14] Heinz Althöfer, Il restauro delle opere d’arte moderne e contemporanee, Nardini 1991
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