L’uso di una tecnica mista può essere riconosciuto per buona parte dei dipinti tra Trecento e Cinquecento: se infatti definiamo a tempera a uovo i dipinti il cui unico legante è il rosso d’uovo, ci si renderà conto di quanto tale espressione sia insufficiente a esprimere la varietà di esperienze tecniche proprie di questo periodo. E’ comunque dal Quattrocento che gli artisti opteranno in modo deciso nell’utilizzare la tempera secondo una nuova sensibilità? che spinger? la tecnica ai limiti delle sue possibilità, raggiungendo risultati prossimi a quelli della pittura ad olio. Varie esperienze saranno condotte in questa direzione sia impiegando per alcuni pigmenti leganti oleosi (il che è proprio di ciò che definiamo tempera grassa), sia facendo uso di lacche e di velature. In quest’ultimo caso, pur partendo dalle tradizionali stesure a tempera, si raggiunger? con la sovrapposizione di una velatura fluida e brillante un risultato decisamente sorprendente: è questo caso specifico che qui abbiamo definito “tecnica mista”.
Tra i tanti pittori del periodo, Carlo Crivelli appare decisamente rappresentativo di una generazione ancora ostinatamente legata alla tradizione e allo stesso tempo aperta a sperimentazioni e contaminazioni. L’artista mostra una grande capacità artigianale: su un supporto di tavole in pioppo o tiglio stende una preparazione secondo la ricetta tradizionale, la cui adesione è migliorata da una serie di incisioni a formare una griglia sul legno del supporto. Dopo aver riportato il disegno con l’uso di un rudimentale cartone e aver tracciato come consuetudine le incisioni delimitanti la doratura e i principali dettagli architettonici, il pittore ripassa il disegno a carboncino con inchiostro steso a pennello, o con nero di carbone in tempera a uovo.
I tratti del Crivelli sono estremamente fluidi e sicuri ed è raro verificare nei suoi dipinti la presenza di un pentimento: le figure sono disegnate in ogni loro parte con segno marcato, il modellato è ottenuto con un tratteggio obliquo e con la sovrapposizione di linee parallele.
Questo disegno è in parte coperto da una campitura; in parte, come accade negli incarnati, la velatura consente di sfruttare il chiaroscuro già determinato nella fase del disegno.
Per alcuni pigmenti si adotta la tempera grassa (le analisi dei leganti indicano la presenza di olio di noce e talvolta di resina di pino, tecnica mista) ma per queste prime stesure prevale la consuetudine e vengono utilizzati i tradizionali colori ad uovo.
Su queste stesure il pittore torna a definire i dettagli e a meglio definire i volumi.
Il disegno soggiacente ha un notevole rilievo nella qualificazione complessiva dell’immagine, dato che non solo appare a definire i contorni, ma emerge sotto la stesura definitiva del colore, al fine di determinarne per opalescenza le ombreggiature. La tavolozza del pittore appare oltremodo limitata ma utilizzata con estrema perizia. Per quanto riguarda gli incarnati l’artista impiega cinabro di miniera e lacca legati con tuorlo d’uovo e preparati in tre differenti toni su cui in seguito interviene con una leggera velatura a lacca, tecnica mista. Complessa la stesura dei verdi che le stratigrafie ci mostrano determinate da uno, due o tre strati di colore, ottenuti con mescolanze di azzurri e gialli.
L’opera ? quindi arricchita con l’inserimento di un gran numero di particolari che rivelano una cultura figurativa influenzata in egual misura dalla tradizione tardo gotica e dalle esperienze fiamminghe quattrocentesche.
La doratura a missione completa il dipinto definendo l’aureola, il prezioso manto della Vergine e creando particolarissimi effetti di rilievo, come per il suntuoso cuscino del Gesù Bambino.
Manfredi Faldi – Claudio Paolini
Dipinto realizzato da Ulrika Alton
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