Supporto tela di lino romano con tramatura media semplice, regolare, di circa 12 × 15 fili per centimetro quadrato (raramente Caravaggio ha utilizzato anche tele ad armatura “saia”, di andamento diagonale, detta “tela olona”).
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Colla animale
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Preparazione leggera e flessibile di colore bruno-rossastro, a base di terre disciolte in olio (mestica).
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Incisioni che fissavano i punti cardinali dell’impianto compositivo, eseguite a mano libera con il manico del pennello o con un punteruolo.
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Abbozzo pennellate rapide e sciolte di colore ad olio che definiscono in ogni particolare la composizione. Il dipinto è costruito con la pasta del colore e non per strati (tecnica degli impasti a corpo).
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Strato pittorico
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Stesure finali lumeggiature a tempera ad uovo, finiture e leggere velature brune o nere.
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Vernice spesso strato di resina naturale mescolata a bitume.
Giuditta e Oloferne – 1597 circa – Oil on canvas, 145×195 cm – Gallerie nazionali d’arte antica, Palazzo Barberini, Roma
Caravaggio – La pittura ad olio (VIDEO)
Caravaggio – La tecnica
Caravaggio – Madonna dei Palafrenieri
Vi è uno stretto rapporto tra la preparazione e la tecnica di stesura del colore. Con il diffondersi del supporto in tela libera su telaio questo rapporto si fece sempre più evidente. I metodi utilizzati per l’imprimitura, ora stesa su una preparazione leggera e flessibile, si perfezionarono, imprimitura e preparazione divennero un unico strato, grasso e colorato, a base di gesso, olio di lino cotto e pigmento (la cosiddetta mestica); l’abbozzo, che trasparendo sotto il colore guidava la pittura e agiva come sottofondo, divenne un momento centrale nel processo esecutivo. La volontà di sfruttare le caratteristiche di trasparenza dei colori ad olio portò così nel corso del XVI secolo all’impiego di imprimiture colorate e nel Seicento all’affermarsi di preparazioni molto scure, in rosso o in bruno. Si era infatti riscontrato che certi colori, quali l’azzurro, il verde o il bianco, acquistavano maggior potenza e splendore se applicati su uno strato rossastro (che però, col tempo, tende ad assorbire le mezze tinte e a rinforzare le ombre esasperando i contrasti di tono del dipinto). Il Caravaggio, nonostante l’esclusività di alcuni procedimenti, è stato qui scelto per esemplificare queste ricerche.
Incisioni sulla preparazione rossastra
Le fonti affermano che il Caravaggio non disegnava ma dipingeva direttamente a colore copiando dal vero: i frequenti ripensamenti in corso d’opera documentati da indagini condotte a raggi X sembrano confermare questo dato. I punti cardinali dell’impianto compositivo venivano sommariamente fissati con delle incisioni eseguite a mano libera direttamente sulla preparazione: nell’immagine vediamo queste incisioni in corrispondenza del busto del personaggio femminile principale, a individuare una porzione della spalla destra e la linea del mento. Nel 1960 Roberto Longhi ha proposto che servissero “per fissare certi rapporti di distanza tra le masse principali in modo da poter ritrovare ad ogni seduta la giusta posa dei modelli”. Si tratta di un procedimento praticamente esclusivo di questo artista, che probabilmente sviluppò il metodo partendo dalla tecnica del riporto del disegno mediante cartone. È invece generalizzabile la scelta di una preparazione scura, in rosso o in bruno. Alcuni pittori, in questo periodo, giungevano anzi ad utilizzare preparazioni diverse secondo le zone, altri (come riscontrato nella tecnica del Caravaggio), le sfruttavano lasciandole trasparire attraverso la pittura.
Disegno in terra d’ombra bruciata
Recenti indagini eseguite sulla Cena in Emmaus, opera del Caravaggio conservata nella Pinacoteca di Brera, sembrano contraddire le fonti storiche sul fatto che il pittore non ricorresse alla fase grafica preliminare: lo scanner multispettrale all’infrarosso ha infatti rivelato, oltre alla presenza delle tipiche incisioni, i contorni grafici del volto di Cristo, degli apostoli e delle mani. Sicuramente Caravaggio non abbozzava la composizione direttamente con toni chiari ma, se anche non eseguiva dettagliati disegni preparatori sulla carta o sulla tela, iniziava realizzando un tracciato grafico con terra d’ombra bruciata poi, su questo, non ancora secco, iniziava a dipingere con pennellate rapide e sciolte ma, al tempo stesso, forti e piene. Il disegno preliminare veniva in questo modo perciò ad essere un tutt’uno con l’abbozzo: la velocità dell’esecuzione forse dipendeva dall’abitudine e dalla volontà di copiare dal modello. Già a livello di abbozzo la pittura appare così definita e studiata in ogni particolare. Il dipinto viene cioè costruito con la pasta del colore e non per strati, nasce così la tecnica dell’impasto a corpo, rimasta poi tipica di molte aree del mediterraneo.
Abbozzo con impasti a corpo
Caravaggio non ritagliava le sue figure entro profili ben definiti ma eseguiva per intero le singole figure partendo dal fondo e ad esse sovrapponeva poi quelle in primo piano. Figure, vestiti ed oggetti costruiti in successione spesso si soprammettono, come le fronti dei volti che vengono coperte dai capelli o le braccia che proseguono sotto le maniche degli abiti.
“In quest’opera il Caravaggio usò ogni potere del suo pennello, avendovi lavorato con tanta fierezza che lasciò in mezze tinte l’imprimitura della tela”. Pietro Bellori, Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, Roma, Mascardi 1672, CCXL.
Stesure finali
La rapida stesura finale andava poco oltre l’abbozzo o si identificava addirittura con esso, tanto che sono state individuate delle lumeggiature a tempera a uovo sovrapposte agli strati ad olio ancora freschi. L’energia e la decisione della pennellata del pittore si conciliava con una straordinaria attenzione per i minimi particolari, dipinti con un pennello sottilissimo. Infine, con una leggera velatura bruna o nera, il pittore tornava a lavorare sulle strisce della preparazione rossastra precedentemente risparmiate, ottenendo il colore scuro del fondo che infatti si sovrappone, in alcuni casi, ai contorni delle figure.
Manfredi Faldi- Claudio Paolini Dipinto realizzato da Manfredi Faldi
Estratto da: Artis (Art and Restoration Techniques Interactive Studio), Direzione scientifica: Manfredi Faldi, Claudio Paolini. Cd Rom realizzato da un gruppo di istituti di restauro europei, con il determinante contributo della Commissione Europea nell’ambito del programma d’azione INFO2000.
L’auspicato avvicinamento fra le diverse metodologie (diagnostica artistica, analisi tecnica e documentazione materiale) si è concretizzato pienamente per quanto riguarda lo studio complessivo della pittura di Caravaggio giacché i dati ricavati dall’analisi tecnica e dallo studio delle fonti hanno permesso di definire le costanti caratterizzanti il suo procedere pittorico. Sulla base delle ricerche compiute in occasione della mostra Caravaggio e il suo tempo svoltasi a New York e Napoli nel 1985, i cui risultati furono riepilogati e puntualizzati nel convegno L’ultimo Caravaggio [1], e grazie alla nuova documentazione offerta da svariate radiografie fatte eseguire dalla “Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi”, si è risaliti al modo di procedere del Caravaggio nell’esecuzione dei suoi dipinti, dall’uso delle incisioni, al problema dei pentimenti, alla costruzione delle figure per successione e sovrapposizione di piani [2].
Come ci segnala Roberta Lapucci [3], la prima e fondamentale apertura sugli aspetti tecnici e tipologici di alcune opere caravaggesche si deve agli studi compiuti in occasione del convegno Novità sul Caravaggio, i cui atti furono pubblicati nel 1975 [4]. Le immagini radiografiche delle tele, le macrofotografie delle pennellate e delle stesure pittoriche, le riproduzioni grafiche delle tavolozze e degli accostamenti di colore e infine le tipologie simili di volti e di mani vennero tra loro confrontate permettendo un’analisi approfondita di ciascuna opera caravaggesca. Questo confronto ha permesso quindi un dettagliato studio sui singoli elementi costituenti ciascun dipinto consegnandoci una minuziosa descrizione del supporto, del telaio, della preparazione, dei pigmenti e delle vernici. Il primo vasto archivio di raccolta delle testimonianze tecniche effettuate sulle opere caravaggesche si deve alla ricerca di Mia Cinotti confluita poi nella sua monografia che risale al 1983 [5] e che costituì una valida premessa per i successivi studi di carattere tecnico effettuati poi in occasione della mostra di New York e Napoli. Ogni singola scheda storico-critica attinente alle singole opere caravaggesche si avvale infatti della documentazione scientifica, presentando la documentazione fotografica delle radiografie reperite su ciascun dipinto e tutti i dati relativi ai precedenti restauri.
Le fonti affermano che il Caravaggio non disegnava ma dipingeva direttamente a colore copiando dal vero, “senza passare – ci segnala lo studio di Mina Gregori – come voleva una consolidata tradizione artistica, attraverso l’elaborazione disegnativa che perveniva a idealizzare il dato naturale”. Carel van Mander aggiunge una sua riflessione riferita all’esclusione del disegno, che aveva certamente anche un significato antimanieristico, nel nuovo metodo del Caravaggio: “dipingere su disegni, anche se essi ritraggono il vero, non è certamente la stessa cosa che avere il vero davanti a sé e seguire la natura nei diversi colori” [6].
Caravaggio, San Giovanni Battista, Nelson-Atkins Museum, particolare in luce visibile
I punti cardinali dell’impianto compositivo venivano sommariamente fissati con delle incisioni eseguite a mano libera direttamente sulla preparazione. Il loro ruolo riguarda certamente la necessità di riposizionare i modelli nelle differenti sedute di posa necessarie alla realizzazione del dipinto.
L’individuazione delle incisioni (o come le definisce Roberto Longhi [7] dei “graffiti o incisure”) su molte opere del Caravaggio è avvenuta grazie all’ispezione a luce radente sui dipinti esposti a New York nel 1985. Le incisioni rilevate risultano tracciate a mano libera con il manico di pennello, uno stilo o un punteruolo. Il pittore le utilizzava, nella fase giovanile, per fermare i limiti e alcune linee direttrici delle figure mentre in seguito soltanto per rappresentare gli oggetti in prospettiva.
Come la critica ha più volte ribadito, la presenza delle incisioni, che è da ritenersi procedimento esclusivo del Caravaggio, rappresenta una traccia sicura per distinguere un’originale da una copia ma ciò non significa che necessariamente si debba negare l’autografia caravaggesca ad un opera che ne risulti priva. [8]
Sappiamo che Caravaggio abbandonò l’uso dell’incisione dopo la sua fuga da Roma e se, come è stato proposto, questi segni impressi nella preparazione servivano primariamente come elementi di riferimento per la posizione delle figure nelle nuove sedute, ciò confermerebbe l’ipotesi che negli ultimi anni dipinse meno frequentemente dal modello.
Caravaggio, San Giovanni Battista. Il particolare in luce mette in evidenza le incisioni per la gamba sinistra del Santo.
La pratica di incidere la preparazione fu appresa certamente da Caravaggio nella bottega del Cavalier d’Arpino, dove era usata per trasporre il disegno già elaborato mediante l’incisione del cartone anche per i dipinti su tela (Armenini [9] e Volpato [10] descrivevano la tecnica del ricalco di cartoni anche sulle tele).
Caravaggio elabora questa tecnica fino a renderla un procedimento, come si è detto, praticamente esclusivo, le fonti cinquecentesche infatti non fanno riferimento, nel caso dei dipinti, all’uso di incisioni sostitutive del disegno, mentre attestano come caratteristica generalizzabile di quel periodo la presenza di una preparazione scura, in rosso o in bruno.
Si era riscontrato in quei tempi che certi colori, quali l’azzurro, il verde o il bianco, acquistavano maggior potenza e splendore se applicati su uno strato rossastro (che però, col tempo, tende ad assorbire le mezze tinte e a rinforzare le ombre esasperando i contrasti di tono del dipinto). Alcuni pittori, in questo periodo, giungevano anzi ad utilizzare preparazioni diverse secondo le zone, altri (come lo stesso Caravaggio) le sfruttavano lasciandole trasparire attraverso la pittura.
Caravaggio iniziava a dipingere con pennellate rapide e sciolte ma al tempo stesso forti e piene, già a livello di abbozzo, la pittura appare così definita e studiata in ogni particolare, il dipinto viene cioè costruito con la pasta del colore e non per strati. Secondo la testimonianza del Bellori Caravaggio “lasciò in mezze tinte l’imprimitura della tela” [11], cioè utilizzava il colore bruno della preparazione come mezzo tono per le penombre.
Caravaggio, Sacrificio di Isacco, Uffizi, particolare in luce visibile
Le figure, i vestiti, gli oggetti sono dipinti in successione spesso sovrammettendosi l’uno all’altro dal fondo verso il primo piano come evidenziato dall’immagine radiografica del Sacrificio di Isacco degli Uffizi: il coltello sormonta la manica di Abramo , la quale a sua volta si sovrammette alla spalla di Isacco. Questo conferma che le opere non son concepite in una struttura già disegnata, ma vengono costruite per successione e sovrapposizione di piani partendo dal fondo. Questo modo di procedere, affrontando una figura per volta, preclude al Caravaggio la possibilità di lavorare ad affresco; il murale che egli, infatti, esegue nel casino Ludovisi, è dipinto ad olio, i suoi quadri sono “a olio dipinti” notava il Baglione [12] “poiché egli non operava in altra maniera” [13].
Caravaggio, Sacrificio di Isacco, La radiografia rivela la vigorosa qualità dell’abbozzo nel quale l’opera appare praticamente finita
E’ stato ipotizzato da Keith Christiansen [14] che “la velocità irruente caratteristica delle opere del Caravaggio” possa dipendere “dall’abitudine di copiare dal modello che richiedeva tempi brevi. L’energia e la decisione con la quale la sua pennellata si prolunga con una tensione inimitabile è elemento primario per riconoscere un’opera originale, e non credo si possa dare definizione migliore che ricorrendo alla ‘veemenza’ di cui parla il Bellori” [15].
Manfredi Faldi, La documentazione materiale come supporto e verifica dell’analisi storico-stilistica nelle opere pittoriche, Firenze 2003
[1]Gli atti sono stati pubblicati soltanto due anni più tardi: AA.VV., L’ultimo Caravaggio e la cultura artistica a Napoli, in Sicilia e a Malta, atti del convegno, Siracusa-Malta, aprile 1987, a cura di M. Calvesi col coordinamento di L. Striglia, Siracusa, Ediprint 1987
[2]Cfr. M. Gregori, Come dipingeva il Caravaggio, in Michelangelo Merisi da Caravaggio, come nascono i capolavori, a cura di M. Gregori, Catalogo della mostra (Firenze, Roma 1992), Milano: Electa 1991, pp. 13-30; e si veda ivi anche l’intervento di R. Lapucci, La tecnica del Caravaggio: materiali e metodi, pp. 31-51; si vedano inoltre i successivi studi: S. Rinaldi, Qualità di superficie nelle due versioni della Buona ventura di Caravaggio, “Ricerche di Storia dell’arte”, 51, Roma, Bulzoni 1976, pp. 27-30; AA.VV., Identificazione di un Caravaggio : nuove tecnologie per una rilettura del San Giovanni Battista, a cura di Gianpaolo Correale, Venezia, Marsilio 1990; M. Calvesi, Le realtà del Caravaggio, Torino, G. Einaudi, 1990; M. Cinotti, Caravaggio: la vita e l’opera, Bergamo, Bolis 1991; AA.VV., Come dipingeva il Caravaggio : atti della Giornata di studio, a cura di M. Gregori, Milano, Electa 1996; AA.VV., Il seppellimento di santa Lucia del Caravaggio: indagini radiografiche e riflettografiche, a cura di G. Barbera e R. Lapucci, Siracusa, Galleria regionale di Palazzo Bellomo 1996; M. Gregori, R. Lapucci, Michelangelo Merisi da Caravaggio e i suoi primi seguaci, Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi, Arti Grafiche Aa 1997; M. Gregori, Un nuovo ‘Davide e Golia’ del Caravaggio, in “Paragone”, LI , 603, 2001, pp. 11-22; M. T. Schneider Per un nuovo ‘Davide’ del Caravaggio: relazione tecnica, in “Paragone”, LI , 603, 2001, pp. 23-28; AA.VV., Caravaggio e i Giustiniani: toccar con mano una collezione del Seicento, a cura di S. Danesi Squarzina, Milano, Electa 2001; AA.VV., Sulle orme di Caravaggio: tra Roma e la Sicilia, a cura di V. Abbate, Venezia, Marsilio 2001
[7]R. Longhi, Un originale del Caravaggio a Rouen e il problema delle copie caravaggesche, in “Paragone”, XI, n. 121, 1960, pp. 23-36
[8]Cfr. oltre al più volte menzionato studio di Mina Gregori anche quelli di R. E. Spear, Caravaggio and His Followers, Cleveland, 1971 e K. Christiansen, Caravaggio and “l’esempio davanti del naturale”, in “The Art Bullettin”, LXVIII, 3, 1986, pp. 421-445
[9]G.B. Armenini, (1586), ed cons. a cura di P. Barocchi, Scritti d’arte del Cinquecento, Milano-Napoli, 1973, p. 2289
[10]G. B. Volpato, in M. P. Merrifield, cit., 1849, p.737
[11]G. P. Bellori, Le vite de’ pittori , scultori e architetti moderni(1672), ma si cita dall’ed. curata da E. Borea e G. Previtali, cit., 1976, p. 209
[12]G. Baglione, Le vite de’ pittori scultori et architetti. Dal Pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma 1642
[13]G. P. Bellori (1672), ed. cons. E. Borea e G. Previtali, cit., 1976, p. 215
[14]K. Christiansen, Caravaggio and “L’esempio davanti del naturale“, cit., 1986, pp. 421-445
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