Giovanni Bellini- Stratigrafia

Giovanni Bellini Madonna degli alberetti

Supporto
un’unica tavola in legno di pioppo
Colla animale
Preparazione
costituita da gesso (solfato di calcio) e colla animale
Disegno
eseguito a pennello con inchiostro nero sulla traccia lasciata dallo spolvero La linea di contorno è molto dettagliata con zone in ombra definite da un tratteggio parallelo e obliquo
Imprimitura a biacca
in olio, in sostituzione della tradizionale finitura a colla, la linea del disegno viene coperta dall’imprimitura
Imprimitura colorata
Giovanni Bellini eseguiva campiture cromatiche differenziate in relazione alle successive stesure pittoriche
Strato pittorico
Di notevole complessità, fino a quattro stesure sovrapposte ma con semplici miscele di pigmenti, non più di due. Si riscontra un utilizzo di differenti tecniche: olio emulsionato all’uovo (tempera grassa) ed anche successione di stesure a tempera e a olio (tecnica mista).
Velature
di colore per rendere l’ombra più profonda
Vernice resinosa
Giovanni Bellini (Venezia 1433 circa – Venezia 26 novembre 1516), Madonna degli alberetti – firmato e datato sotto il piede del Bambino: IOANNES.BELLINUS.P. / 1487 Olio su tavola 74 x 58 cm. – Gallerie dell’Accademia di Venezia
Giovanni Bellini- Tecnica
- Ridusse la maniera usata per l’addietro, che teneva del secco, ad un più squisito e soave stile.
Carlo Ridolfi (1594-1658) – Le maraviglie dell’arte ovvero le vite degli illustri pittori Veneti e dello stato
Tempera grassa e varie forme di “tecnica mista”
Lo studio della tecnica pittorica di Giovanni Bellini è particolarmente importante in quanto il pittore è attivo a Venezia fra la seconda metà del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, un periodo cioè caratterizzato da profonde modificazioni tecniche introdotte nella città dagli artisti fiamminghi.
Nei dipinti di questo periodo si riscontra un utilizzo di nuove tecniche: olio emulsionato all’uovo (tempera grassa) ed anche successione di stesure a tempera e a olio (tecnica mista).
L’impiego dell’olio come legante (sia emulsionato con l’uovo, sia mescolato direttamente con il pigmento) offriva nuove e molteplici possibilità, la tecnica di Giovanni Bellini seguiva però ancora le modalità di esecuzione della tempera in quanto il pittore tendeva a sfruttare la luminosità dello strato sottostante, infatti:
- gli strati pittorici erano costruiti sovrapponendo velature regolari e compatte,
- le ombre erano ricavate utilizzando il chiaroscuro del disegno preparatorio e del sottofondo cromatico;
- le lumeggiature erano stese in un unico strato, di spessore molto sottile, e costituivano il tocco finale[1].
La preparazione
Le preparazioni dei dipinti veneziani erano composte da gesso e colla molto debole, Giovanni Bellini talvolta aggiungeva un poco di nero in modo da ottenere una colorazione grigia, procedura che si accordava con la tradizione fiamminga. La superficie veniva infine saturata con uno o due strati di colla per limitarne l’assorbenza; talvolta la finitura a colla viene sostituita con una imprimitura a biacca a olio collegata all’uso ormai comune in questi anni del legante oleoso[2].
Anche nella preparazione a gesso e colla è stata spesso evidenziata nelle analisi la presenza di olio di lino. In questo periodo i supporti lignei e le tele erano preparati con gli stessi materiali, e i pigmenti, se miscelati con l’olio, erano ancora stesi sui fondi bianchi. La Madonna degli alberetti, come molti dipinti di Giovanni Bellini, è eseguito su un’unica tavola di pioppo.
Tecniche di riporto del disegno
I disegni sottostanti ai dipinti di Giovanni Bellini sono accuratissimi (anche se non mancano casi di schizzi diretti sulla tavola, liberi e imprecisi) e non sono frutto di una prima ideazione spontanea ma presuppongono dei disegni preparatori su carta [3]. Le modalità di trasferimento del disegno non sono state evidenziate dalle indagini ma molto probabilmente si trattava di cartoni, procedimento spesso utilizzato dai maestri rinascimentali, trasferiti sulla tavola con il metodo del ricalco, dello stampino [4] o anche dello spolvero le cui tracce potrebbero, in alcuni casi, essere state cancellate dal pittore dopo aver ripassato il disegno a inchiostro. Alcuni disegni preparatori rilevati agli infrarossi, invece, conservano lungo i contorni la tipica sequenza dei puntini neri lasciati dallo spolvero, nella bottega del Bellini si faceva largo uso di cartoni e di sagome per creare sia copie che varianti dello stesso soggetto.
Giovanni Bellini – Il colore e la tecnica pittorica – Lo spolvero
Spesso nei disegni del Bellini il tratteggio è eseguito con una pennellata ricca di inchiostro che lascia una goccia alla fine del segno. Molte tratteggiature terminano cioè con piccoli punti ma in alcune zone i puntini suggeriscono l’uso della tecnica “a spolvero” mediante cartone forato dal momento che non sembrano connessi ad alcuno dei tratti.
Le architetture e le pieghe dei manti sono sovente definite con un segno di incisione netto e preciso che si rivela eseguito con strumenti metallici e stili di piombo secondo la tecnica tradizionale trecentesca.
Il disegno preliminare
Bellini eseguiva un disegno eccezionalmente completo e finito soprattutto per le parti figurative; i tratti di contorno, spesso più marcati nelle zone d’ombra, sono molto raffinati nei lineamenti dei volti.
La definizione delle ombre e dei volumi è realizzata a chiaroscuro con un tipico tratteggio diagonale a linee parallele e regolari con pennellate piuttosto liquide, sottili, allungate e di rado incrociate, secondo un metodo simile a quello che utilizzerà nella stesura pittorica [5], mentre i paesaggi e gli sfondi risultano spesso solo abbozzati.
Dagli esami effettuati si desume che Giovanni Bellini abbia spesso utilizzato il pennello, anche in relazione al fatto che molte parti del disegno preparatorio, specialmente alla fine del tratto (che è sempre inclinato da destra verso sinistra) evidenziano un ispessimento del disegno, come se l’artista si fosse fermato prima di proseguire con il tratto successivo [6].
Per il tratteggio Giovanni Bellini utilizzava un inchiostro (a carbone o galle di quercia) più diluito rispetto a quello impiegato per i contorni in modo da non interferire eccessivamente con la pittura. Questo disegno, viene poi infatti fedelmente seguito in fase di campitura contribuendo al modellato. Il disegno è talvolta lasciato in vista per costituire il massimo scuro o anche per definire nitidamente i profili.
I disegni sottosuperficie così particolareggiati e la definizione a tratteggio del chiaroscuro, che presentava il dipinto nella forma pressoché finale, sono alcune delle caratteristiche della pittura fiamminga del ‘400.
Nella Madonna degli alberetti il disegno ha una linea di contorno molto dettagliata, mentre le zone in ombra, in particolare quelle degli incarnati, sono definite con un tratteggio obliquo, questo è evidente anche ad un esame visivo per la consunzione degli strati pittorici [7].
Anche quando il dipinto aveva dimensioni molto ridotte Bellini incideva i particolari architettonici con un segno netto e preciso utilizzando strumenti geometrici: sono spesso riconoscibili i segni lasciati dal compasso. Le sottili tracce dell’incisione sono appena percettibili in quanto il solco è stato colmato dalla pennellata.
L’imprimitura di biacca in olio di lino
Al di sopra della normale preparazione a gesso e colla è stato rinvenuto [8], in quest’opera, come in quasi tutte le opere dell’autore , uno strato compatto e sottile (sempre inferiore ai 30 micron) di bianco di piombo in olio siccativo di aspetto grigio e abbastanza traslucido.
Questi sottili strati di finitura, “imprimitura”, costituiti da uno strato di legante (nel quale talvolta veniva aggiunto un pigmento) servivano a colorare o a migliorare la resa della superficie, oltre che a controllare l’assorbimento del legante da parte della preparazione isolando gli strati pittorici dalla preparazione.
L’imprimitura a biacca a olio, in sostituzione della tradizionale finitura a colla, è collegata all’uso, ormai comune in questi anni, del legante oleoso: la presenza di piombo favoriva la polimerizzazione dell’olio siccativo e, dal punto di vista estetico, esaltava la luminosità e la profondità degli strati pittorici.
Interessante notare come, diversamente da quanto suggerito dalle fonti dell’epoca, la linea del disegno venga coperta dall’imprimitura, rendendola così meno visibile al pittore all’atto della coloritura e richiedendo però anche spessori minori agli strati cromatici successivi per celarla [9].
Imprimiture colorate locali
Sullo strato preparatorio le indagini stratigrafiche hanno evidenziato la presenza di imprimiture locali composte da pigmenti diversificati, il cui legante è di probabile natura lipoproteica (presumibilmente uovo).
A partire dal Cinquecento, con modalità e tempistiche differenti, iniziano a diffondersi imprimiture colorate di colore differente rispetto alle campiture sovrapposte, con l’intento di ottenere particolari effetti [10]. Sulla preparazione bianca Giovanni Bellini, prima di iniziare a dipingere, eseguiva delle campiture cromatiche in relazione alle successive stesure pittoriche ottenendo, in questo modo, un sottile film semitrasparente che lasciava intravedere lo strato sottostante modificandolo di tono.
Tra i dipinti analizzati [11] si portano come esempio fondi neri sui quali l’artista ha dipinto drappi e vesti rosse, fondi a base di lacca rossa e biacca per i manti blu oltremare.
La realizzazione di una tonalità viola è ottenuta con uno strato di lacca rossa e oltremare su di una base di lacca, mentre fondi giallo scuri a base di ocre e vermiglione sono utilizzati per i paesaggi.
Non mancano esempi nei quali Giovanni Bellini stende sulla preparazione, una velatura di colore verde sulla quale sovrappone, iniziando dai mezzi toni, pennellate sottili e ricche di impasto [12].
Campiture cromatiche
Nei dipinti della fine del ‘400 e inizio ‘500 si riscontra un utilizzo di varie forme di “tecnica mista”: l’olio poteva venire emulsionato all’uovo prendendo così il nome di “tempera grassa”, oppure potevano essere sovrapposti strati di tempera a campiture ad olio o strati ad olio su campiture a tempera e potevano anche essere impiegate le differenti tecniche in zone diverse dello stesso dipinto. In genere le campiture chiare come i cieli e gli incarnati erano stese con tempera a uovo, mentre le ombre più scure e trasparenti dei rossi, dei blu e dei verdi erano ottenute con leganti a base di oli siccativi.
La nuova tecnica segue comunque, nelle sue fasi iniziali, le modalità di esecuzione tradizionali: sovrapposizione di strati pittorici tramite velature regolari e compatte sfruttando il disegno preparatorio per le ombre.
Anche nei dipinti di Giovanni Bellini il disegno preparatorio contribuisce al modellato ed è talvolta lasciato in vista a costituire il massimo scuro o anche a definire nitidamente i profili. Al disegno si sovrappongono stesure di colore piuttosto sottili a base d’uovo sia da solo sia in miscela con oli siccativi, sia a base d’olio (di lino o di noce) da solo.
Le stesure pittoriche non hanno rilievo materico di pennellata ad eccezione dei manti realizzati con sovrapposizioni di colore. Per distribuire l’impasto e per ottenere un maggior effetto di sfumatura Bellini utilizzava spesso leggeri tocchi delle dita lasciando impronte dei polpastrelli sulla superficie. L’artista usa comunque tecniche diverse a seconda degli effetti desiderati, si passa dalla stesura del colore a velature, alla tecnica mista a tratteggio e impronte dei polpastrelli, al solo tratteggio.
Si dipingono prima i fondi lasciando lo spazio per le figure che erano realizzate, in un secondo tempo, direttamente sulla preparazione. I paesaggi sono realizzati con velature trasparenti e ultimati con pennellate veloci a biacca.
Risulta dalle stratigrafie dei campioni prelevati dai manti, che l’artista stendeva prima il tono chiaro poi il mezzo tono e concludeva con le ombre. Talvolta la preparazione è lasciata visibile in trasparenza per ottenere sfumature più delicate.
Gli incarnati sono dipinti con poco spessore, con pennellate sovrapposte (due al massimo), date a velatura molto trasparenti che lasciano intravedere il tratteggio sottostante e che concorre alla definizione delle ombre, i mezzi toni e i chiari venivano dipinti sempre a velature. Le lumeggiature erano stese in un unico strato di spessore molto sottile, e costituivano il tocco finale. In alcuni dettagli, come ad esempio gli occhi, egli lascia il fondo scuro nelle parti più interne intorno alle ciglia e poi definisce i colpi di luce.
L’artista sembra prediligere miscele di pochi pigmenti nelle singole stesure attraverso sequenze di strati pittorici molto complesse, sovrapponendo anche cinque strati.
Pigmenti
Le analisi stratigrafiche eseguite su microcampioni prelevati delle opere di Giovanni, oltre ad identificare pigmenti e leganti, ci informano anche riguardo la struttura e la distribuzione dei materiali, confermando la misura dell’eccezionale padronanza tecnica, da parte del pittore, nell’impiego del colore per ottenere i passaggi tonali per velature successive [13].
Tutti gli incarnati studiati appaiono costituiti da mescolanze di biacca con parti di ocre e cinabro, quest’ultimo in special modo adoperato per arrossare le gote. Il cinabro è presente anche nei bruni dei capelli. Talvolta giallo di piombo e stagno (giallolino) sostituiscono l’ocra in miscela col bianco di piombo e il cinabro. Il nero carbone e le lacche rosse negli incarnati sono rari. L’impiego di lacca appare come d’uso limitato alle labbra e in velatura; per le ombre Bellini utilizza ocre e terre, sempre stese a pennellate sottili [14].
Per gli azzurri del manto della Vergine, Giovanni Bellini utilizzava oltremare naturale puro in stesure di anche tre strati al di sopra di una pennellata più spessa di biacca e lacca rossa; l’effetto di profondità nelle ombre era spesso reso con un legante traslucido.
Le vesti rosse sono composte da cinabro o lacca rossa su fondi scuri o verdi e le tonalità erano realizzate modulando a velatura le stesure finali. Per rendere l’effetto di profondità per le ombre stendeva velature di lacca. Un’altra veste è dipinta con una pennellata di cinabro mescolato a nero fumo su uno strato a base di biacca con poca azzurrite sul quale ha sovrapposto la lacca rossa per definire l’ombra.
La veste viola è ottenuta con una spessa pennellata di lacca rossa e smalto data su una base coprente di cinabro e lacca rossa. La tonalità viola del manto è talvolta realizzata su una base di lacca rossa e terminato di lacca rossa e oltremare rendendo l’ombra più profonda con una velatura di lapislazzuli. Bellini usa più di ogni altro suo contemporaneo i viola, ottenuti mescolando oltremare e lacca rossa o utilizzando direttamente delle lacche violacee. E’ forse tra i primi a introdurre l’uso combinato di orpimento e realgar per le luci e i mezzitoni e ciò diverrà una costante imitazione per i pittori successivi, da Lotto a Tiziano [15].
Nelle vesti verdi i pigmenti riconosciuti sono lacche e verdi a base di rame miscelati a giallo di stagno e piombo. I toni chiari, stesi per primi sono stati scuriti con una velatura più intensa della stessa miscela di pigmenti. Spesso è presente un sottile filo d’oro a missione.
Il prato della Pietà vede sovrapposti ben cinque strati di colore con una miscela di bianco di piombo, verde rame, giallo di piombo e stagno e poche particelle di bitume in proporzioni variabili. Nella Trasfigurazione lo strato pittorico di colore verde è formato da una miscela di biacca , terra verde macinata finemente e malachite [16]
Per le tonalità brune non usava le terre naturali ma un miscuglio composto di biacca, nero carbone, poca ocra e particelle di vermiglione che, mescolati in proporzioni diverse, conferivano maggiore brillantezza dei colori bruni che altrimenti rimangono opachi. Alberi e arbusti sono realizzati in questa miscela. I toni bruni sono anche ottenuti con una miscela di cinabro e giallorino.
Per restituire i colori grigi, invece di semplici impasti di biacca e pigmento nero, è frequente l’addizione di verdi rameici su uno strato di lacca rossa.
Nel cielo e nel paesaggio il colore è steso a strati sovrapposti con pennellate che si fondono sullo sfondo, a cui si aggiungono tocchi più sottili per la definizione delle nubi e dei dettagli della vegetazione.
Un unico strato, composto da biacca e da blu oltremare naturale di buona qualità in legante lipoproteico (probabilmente uovo), è stato rilevato in corrispondenza del cielo. Le stesure sono realizzate con tecniche molto diverse e, a volte, arrivano fino a 5/6 strati di colore con un’alternanza di pennellate a corpo e a velature [17]. I paesaggi sono realizzati con velature trasparenti e ultimati con pennellate veloci a biacca. Il lapislazzuli (oltremare naturale) è spesso utilizzato anche in mescolanza (non in sovrapposizione) con l’azzurrite o, talvolta, con lo smaltino. L’artista non manca di utilizzare anche l’indaco, pigmento raramente impiegato nella pittura quattrocentesca [18].
Le diverse parti del paesaggio sono state realizzate mediante l’impiego di mescolanza di pigmenti azzurri con verderame, gialli e ocre, velando con resinati di rame o liquide stesure brune di terre o bitume[19].
Manfredi Faldi 2019
Note
[1] Rosetta Bagarotto, Rossella Cavigli, Luisa Gusmeroli, Maria Chiara Maida, Alfeo Michieletto, Gloria Tranquilli, Antonella Casoli, Stefano Volpin, La tecnica pittorica di Giovanni Bellini, in AA.VV., Il colore ritrovato, Bellini a Venezia, a cura di R. Goffen e G. Nepi Scirè, Milano, Electa 2000 p 184
[2] “Dagli esami effettuati sui dipinti di Giovanni Bellini è molto raro riscontrare, al di sotto degli incarnati, una finitura a colla. Tutti i campioni sottoposti ad analisi presentano, con una sola eccezione, una preparazione a gesso e colla animale (a cui riportano i composti proteici rilevati mediante micro-FTIR) che evidenzia caratteristiche comuni in cinque casi su sei: con un gesso, principalmente biidrato ma non esente da particelle più grossolane di gesso anidro (anidrite), dalla granulometria mediamente fine e piuttosto disomogenea relativamente lontana da ciò che si riscontra nelle preparazioni tre-quattrocentesche, nelle quali il gesso “grosso “sopra il supporto ligneo è ricoperto da molteplici mani di finissimo gesso “sottile”. S. Caglio, F. Frezzato, G. Poldi, Pigmenti, leganti, strati: osservazioni analitiche sulla tecnica pittorica del ‘Battesimo di Cristo’ di Giovanni Bellini a Vicenza PDF
[3] Rona Goffen, Bellini disegnatore e la sua attività giovanile, in AA.VV. Carpaccio, Bellini, Tura, Antonello e altri restauri quattrocenteschi della Pinacoteca del Museo Correr, a cura di A. Dorigato, Catalogo della mostra (Venezia, 1993), Milano, Electa 1993 p.222 pp. 17-23
[4] Nella Madonna col Bambino conservata ad Amsterdam, cat nr 2, “il disegno rivelato dall’esame all’IR non mostra alcun tratteggio ma soltanto linee di contorno irregolari e punteggiate. Una possibile spiegazione è che sia stato utilizzato uno stampino ritagliato e che il ricalcare intorno alle forme tagliate irregolarmente abbia creato contorni frastagliati”. AA.VV. The early Venetian paintings in Holland. Catalogue of the Exhibition (Florence, 1978), a cura di H. W. van Os, J.R. J. van Asperen de Boer, Maarssen, Gary Schwartz 1978 p 33
[5] Gianluca Poldi, Le analisi non invasive sull’ “Imago Pietatis” di Bellini, note tecniche e confronti, in Giovanni Bellini. Dall’icona alla storia, a cura di A. De Marchi, A. Di Lorenzo, L. Galli Michero, catalogo della mostra (Milano, Museo Poldi Pezzoli, 9 novembre 2012–25 febbraio 2013), Torino 2012, pp. 93-95 PDF
[6] Paolo Spezzani, in Carpaccio, Bellini, Tura, Antonello e altri restauri quattrocenteschi della Pinacoteca del Museo Correr, cit. p 216
[7] Gloria Tranquilli in Il colore ritrovato, Bellini a Venezia cit. p 60
[8] Ibid p.222 “Il piombo, determinato anche nei punti in cui la preparazione risulta scoperta, denuncia in tutti i dipinti l’impiego di un’imprimitura a base di biacca al di sopra della preparazione a gesso e colla. “
[9] Simone Caglio, Fabio Frezzato, Gianluca Poldi, PIGMENTI, LEGANTI, STRATI: OSSERVAZIONI ANALITICHE SULLA TECNICA PITTORICA DEL BATTESIMO DI CRISTO PDF
[10] Gianluca Poldi, Dentro la bottega veneta in Questioni di tecnica pittorica tra restauri e analisi scientifiche, I grandi veneti. Da Pisanello a Tiziano, da Tintoretto a Tiepolo. Capolavori dell’Accademia Carrara di Bergamo, a cura di G. Valagussa e G.C.F. Villa, Cinisello Balsamo 2010, pp. 190-197, 2010 PDF
[11] S. Volpin, A. Casoli, L. Alberici, I materiali nella pittura di Giovanni Bellini: tredici opere analizzate, in AA.VV., Il colore ritrovato cit. pp. 175-180; Gianluca Poldi, Le analisi non invasive sull’«Imago Pietatis» di Bellini, note tecniche e confronti, cit. p 94
FEDERICA MANOLI E PAOLA ZANOLINI, Note sul restauro e sulla tecnica pittorica dell’«Imago Pietatis» del Museo Poldi Pezzoli in Le analisi non invasive sull’ “Imago Pietatis”, cit. p.88; Il colore ritrovato cit. pp. 192-193
[12] Gloria Tranquilli, Madonna in trono che venera il Bambino dormiente, in AA.VV., Il colore ritrovato cit. p 42
[13] Simone Caglio, Fabio Frezzato, Gianluca Poldi PIGMENTI, LEGANTI, STRATI, cit. p85
[14] FEDERICA MANOLI E PAOLA ZANOLINI, Note sul restauro cit. p 89
[15] Lorenzo Lazzarini, Il colore nei pittori veneziani tra il 1480 e il 1580, in Pittura veneziana: materiali, tecniche, restauri, STUDI VENEZIANI. RICERCHE DI ARCHIVIO E DI LABORATORIO (SUPPLEMENTO N. 5, 1983) PDF
[16] ReC Scientifica srl, Sezioni stratigrafiche e riconoscimento dei pigmenti e dei leganti, in AA.VV. Carpaccio, Bellini, Tura, Antonello, cit. p.219
[17] AA.VV., Il colore ritrovato cit. p 193
[18] Gianluca Poldi, Note quasi sparse sul colore e la tecnica di Giambellino. Nuovi studi analitici, in G. Poldi e G. C. F.Villa, Indagando Bellini, Milano 2009, pp. 163-169
[19] Simone Caglio, Fabio Frezzato, Gianluca Poldi, PIGMENTI, LEGANTI, STRATI: OSSERVAZIONI ANALITICHE SULLA TECNICA PITTORICA DEL BATTESIMO DI CRISTO cit p 85 PDF
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